sabato 28 aprile 2012

Sense and sensibility


Come accennato nel post precedente ho iniziato finalmente a leggere il primo romanzo di Jane Austen: Ragione e sentimento.

Ho già visto il film, ovviamente.   Sono anni che mi imbatto nelle opere di questa scrittrice inglese vissuta a cavallo tra il settecento e l’ottocento.

Ogni volta mi riproponevo di comprare i suoi 6 libri, pietre miliari della letteratura romantica anglosassone, ma si sa… i libri da leggere sono troppi e il tempo sempre tiranno.

Sono affascinata e spesso anche irritata dallo stile di vita descritto in questi romanzi.
Il ruolo delle donne, così drammaticamente dipendenti dalla famiglia, dall’entità della propria dote, con l’unica speranza di realizzazione nel “buon” matrimonio.  

Le posizioni così ben definite: il primogenito eredita, gli altri maschi carriera militare o ecclesiastica, le sorelle pesi morti da piazzare al miglior offerente…

Capire quanto fosse difficile per tutti cambiare ruolo. Uscire dalle regole. 

Bisognava sopportare il peso della vergogna della propria famiglia, il biasimo dei conoscenti, le maldicenze e il compatimento da parte della società in cui si era vissuti.

Mio marito non sopporta questo genere di storie: per esempio ha detestato quanto io ho amato “L’età dell’innocenza”. Non riesce a calarsi nel formalismo di quell’epoca e reagisce con la mentalità di oggi. 
L’ipocrisia e le situazioni di facciata sono così lontane dal suo carattere che non ce la fa.

Io invece mi immedesimo e soffro.   
Mi vedo prigioniera di una vita in cui le mie opzioni sono pochissime, dove devo soffocare qualsiasi passione o desiderio che non sia conveniente e decoroso, dove l’unica fuga possibile è dentro se stessi, in una specie di schizofrenia tra “brava ragazza che sa stare al suo posto” e “avventuriera sognatrice artefice del proprio destino”.

Ammiro molto queste donne: Emily Dickinson, le sorelle Brontë, Elisabeth Barrett…   
Sono riuscite a scrivere, a pubblicare, a guadagnare in epoche in cui era riprovevole per una donna farlo.

Poi  c’è anche un lato di me che sogna busti e crinoline. 
Guanti di pizzo e ombrellini parasole. 
Le carrozze e i balli. Un mondo che non c’è più, fatto di sguardi, di baciamano, di rapporti epistolari, di serate passate a ricamare davanti al fuoco.  

Immagino la tensione, lo sforzo di contenere l’amore o l’odio entro i limiti rigidi della buona creanza in un continuo alternarsi di compromessi e diplomazia. 

Cosa avrei fatto? Come mi sarei comportata? Sarei stata ribelle o docile? 

Avrei vissuto come Jane Austen, che ha dovuto rinunciare all’amore mettendo il lieto fine solo nei suoi libri?
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1 commento:

  1. Cara Guà, io sono felice di essere una "figlia del mio tempo"... con il carattere che mi ritrovo, che non accetta catene o vincoli, sicuramente sarei finita rinchiusa o in un convento o in un manicomio, magari bollata come pazza scatenata o, quanto meno, ribelle...

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